I packaging dell’antico Egitto
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Può una confezione diventare oggetto di una disputa tra un Tribunale Nazionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo? Sì, se il tono dei suoi messaggi è controverso. E soprattutto se le confezioni sono quelle di un’azienda di contraccettivi.
È quanto accaduto ad Aiisa (in georgiano traducibile con “Quella cosa”), azienda di preservativi fondata dalla giovane imprenditrice Anania Gachechiladze. La start-up ha dovuto affrontare una battaglia legale a causa dei messaggi riportati sulle sue confezioni, in una vicenda che ha trovato un epilogo solo qualche settimana fa.
La querelle ha avuto inizio nel 2017, quando online e nei distributori automatici della Georgia sono arrivati i profilattici Aniia. Si tratta di comuni preservativi, contraddistinti però da una comunicazione particolarmente caustica, soprattutto sui temi religiosi, ma non solo.
Su alcuni pacchetti compaiono disegni dissacranti di gesti come il segno della croce, oppure un’illustrazione controversa della regina Tamar, una sovrana medievale molto amata in Georgia, rappresentata in atteggiamenti equivoci.
La grafica vivace e la scabrosità dei soggetti sono ovviamente parte di una strategia di marketing rivolta ad un target giovane e dalla sensibilità laica rispetto al dominante conformismo religioso della Georgia. A conti fatti l’operazione ha funzionato: i preservativi sono andati esauriti in molti punti vendita. La start-up non aveva però fatto i conti con la Chiesa Ortodossa.
Il successo delle scatole ha generato un ampio passaparola, soprattutto sui social network, attirando le attenzioni dei vertici delle istituzioni ortodosse. I leader religiosi hanno chiesto l’intervento del tribunale di Tbilisi, con l’intento di mettere al bando le confezioni.
Le schermaglie tra Aiina e le alte sfere religiose sono andate inasprendosi a colpi di dichiarazioni e provocazioni. In un comunicato la Chiesa Ortodossa ha accusato i packaging di essere “blasfemi” e “immorali”. La fondatrice Gachechiladze ha risposto ringraziando la Chiesa per aver messo i preservativi al centro dei suoi interessi e delle attenzioni dei fedeli, come confermato dall’incredibile successo dei dati di vendita.
500 lari di multa (l’equivalente di 200 dollari americani) e il divieto per l’azienda di utilizzare le immagini blasfeme sulle confezioni: è stata questa la pena inflitta, alla fine, dal Tribunale Nazionale nel 2018, che ha costretto la Gachechiladze a rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, per appellarsi a una sentenza considerata una censura.
Il Tribunale europeo ha valutato la questione approfonditamente, tra diversi appelli e ricorsi. Al centro del processo c’era in fondo la definizione della libertà di cui può godere un packaging, nello scegliere una identity o nel veicolare dei messaggi. Soltanto di recente si è giunti a sentenza: il Tribunale ha dato ragione alla start-up, stabilendo che tre delle quattro confezioni sono lecite e coerenti con il diritto di espressione di Aiina.
La Corte composta, da sette giudici, ha concordato che nel packaging “la libertà di parola costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, nonchè una delle condizioni fondamentali per il suo progresso e l’auto-realizzazione degni individui”.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.
Ce ne sono pochi nelle case, ma sono ovunque in molti settori del mercato, soprattutto nel campo degli alimenti freschi.