“Il futuro è nella creatività e nel green” – Intervista a Furio Camillo

23 Settembre 2020

Furio Camillo è docente di Statistica economica e aziendale all’Università di Bologna. Da molti anni si occupa di tematiche di marketing e comunicazione in vari ambiti, dal calcio alla moda. Abbiamo parlato con lui del presente e del futuro del packaging. Ma non solo.

Su cosa si concentra l’ambito statistico quando parliamo di packaging? Qual è il contributo che il suo lavoro può dare al settore?

La letteratura accademica degli ultimi anni si concentra maggiormente sugli aspetti “creativi” del packaging, considerandolo come parte della comunicazione rivolta al consumatore. La misurazione statistica è ancora sottostimata, soprattutto nel locale, dove l’uso della moderazione statistica applicata al design non è in grado di definire l’impatto del packaging sulle persone. L’approccio è quello di chi pensa al confezionamento come ad un pezzo della produzione industriale, piuttosto che come fattore sociale.

Le letterature accademiche americana e francese hanno invece dimostrato che la statistica può diventare centrale nella progettazione delle confezioni. I ricercatori affiancano al lavoro di ricerca quantitativa un’assidua collaborazione con esperti di analisi qualitativa, ed intendono il packaging come elemento di contatto non come mero involucro. A mio modo di vedere in Italia dovremmo cogliere più quest’approccio: misurare le cose con un approccio sistematico, che consideri la ricerca statistica come un  accompagnamento a tutte le fasi creative del packaging design.

Il lavoro di monitoraggio e di raccolta dei dati è fondamentale per comprendere i trend in atto. Cos’è che le aziende chiedono alla statistica?

La mia sensazione è che in generale si registri una crescente fiducia nei numeri e nella statistica. Ciò che temo è la confusione che a volte le aziende fanno tra statistica e “data science”, che si occupa di calcolare medie tra le opinioni dei consumatori. In statistica la media non è rilevante, perché rappresenta un’approssimazione. La statistica interpreta la media, capisce quali sono le relazioni di causa/effetto, poi spiega la varianza, ovvero la diversità.

Temo anche chi millanta soluzioni a portata di clic e le ipertrofie del machine learning. E molte aziende hanno un’inspiegabile fame di dati fini a loro stessi. Ci sono aspetti intangibili del design che non rispondono ad alcun tipo di regolarità, ma che scatenano reazioni e sensazioni del tutto invisibili a chi invece pretende di dominare tutto con i dati. Nulla ci obbliga a produrre pack gialli, anziché blu, perché ce lo dice un dato numerico.

Nel post lockdown si parla di un risveglio dello “spirito green” delle aziende: ma quanto influisce tutto ciò sulle scelte del consumatore?

In una nostra recente ricerca è emerso che il 42-43% degli italiani non ha sensibilità per le politiche green. Sostanzialmente, c’è ancora molto da fare. È vero però che si registrano timidi effetti positivi: aumentano le persone disposte ad adottare un comportamento virtuoso, come raccogliere la plastica dalle spiagge, ad esempio. Ma limitarsi alla comunicazione delle best practices è poca cosa. C’è bisogno di una linea politica decisa.

In Italia al momento la sostenibilità è diventata un fattore politico sottovalutato. Il consumatore ha bisogno di un cambiamento che lo coinvolga e lo stimoli. In questo senso le aziende hanno una responsabilità enorme nei confronti della sostenibilità, e il packaging è un pezzo importante della loro comunicazione. Ma dovranno diventare green davvero, nei loro processi e nei materiali, prima di trovare il modo di comunicarlo su una scatola.

Le aziende investono sempre più in packaging creativi. Ma nel momento della spesa, chi vince? L’occhio o l’atteggiamento responsabile di chi compra?

È promettente il fatto che il 30% degli italiani guarda all’aspetto green nelle scelte d’acquisto. Molti cercano un pack innovativo, anche se la maggior parte non vuole per questo un aumento del prezzo. Per loro la sostenibilità è un elemento di welfare: i costi aggiuntivi dovrebbero essere condivisi in maniera progressiva. 

Poi dall’altra parte c’è un 20-25% di italiani che è diventata refrattaria a qualsiasi mossa di marketing. Forse la strada giusta per il packaging è quella che unisce memorabile ed ecologico. È quello che Apple sta facendo con la campagna Promise: un packaging e un prodotto migliori, interamente composti di materiali riciclabili.  

Un video della campagna Promise di Apple

A causa del Covid-19 il consumatore oggi è più spinto a scegliere pack sicuri e sigillati?

La parte di cittadinanza più vicina ai temi del green è la stessa parte di popolazione che ha vissuto e sta vivendo l’epidemia in maniera seria e responsabile. Per loro la plastica diventa fondamentale, soprattutto per proteggersi. Il problema sociale che stiamo vivendo ha ricordato a quella fetta di popolazione i vantaggi della plastica nel confezionamento, rendendola necessaria. 

Il futuro del packaging potrebbe prevedere un maggiore impiego di plastica sostenibile, in un design che metta in conto i processi di riciclo e di riutilizzo. È la sfida che stanno già cogliendo aziende importanti come Amazon e Apple, alle quali spetterà il compito di guidare il processo, unendo creatività e concept di confezionamento sempre più green.

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