Paolo Iabichino, direttore creativo ed esperto di brand content, risponde 8 a domande sui trend e il futuro delle confezioni
6 Settembre 2019
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1 / Ciao Paolo Iabichino, abbiamo un dubbio: da un lato si dice che la crescita dell’e-commerce renda meno importante l’impatto “a scaffale” dei prodotti. Dall’altro si torna a parlare del packaging come elemento centrale della comunicazione di marca. Come cambia il packaging nel rapporto con le generazioni più giovani? Cosa sta succedendo?
Le generazioni Z e Y stanno completamente rivoluzionando l’idea stessa di packaging. Prendiamo ad esempio il fenomeno virale dell’unboxing, il disimballaggio dei pacchi, ordinati su Internet, ripresi in video e diffusi sui social network. Le aziende sono molto attente a fenomeni di questo genere. Sanno di dover creare “pack experience” che trasformino le confezioni in oggetti di condivisione. Altro elemento a cui sono sensibili i millennials, e di conseguenza le imprese, è quello della sostenibilità etica e ambientale del packaging. È un tema enorme, connesso a quello delle nuove tecnologie, che offrono insight creativi e soluzioni fino a pochi anni fa inimmaginabili.
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2 / Con l’arrivo delle stampanti digitali aumentano le possibilità di personalizzazione delle confezioni e le opportunità di portare sulle etichette nuovi dettagli sui prodotti. Saremo più informati o più bombardati?
Io credo più informati. Le marche sanno di dover condividere oggi con i propri consumatori alcuni principi irrinunciabili: chiarezza d’intenti, sostenibilità ambientale, una filiera di produzione sana, attenzione alla comunità.
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3 / In generale i nuovi packaging “aumentati” rilanciano il tema della trasparenza sui prodotti. Il marketing è pronto a dire la verità?
La comunicazione digitale è uno spazio di verità presunte; l’etichetta invece non mente. L’etichetta è la nuova bandiera di posizionamento della marca. Leggere le caratteristiche di un prodotto vuol dire leggerne la storia, che incontra la storia di chi lo acquista. È una narrazione che attiva una serie preziosa di valori. Attraverso questi valori passa la rilevanza e la credibilità del brand.
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4 / Come dicevi di packaging si parla anche per i materiali utilizzati: in ballo c’è il tema della sostenibilità e dell’impatto ambientale. In Italia le aziende come reagiscono a questo genere di discorsi?
Secondo un’indagine Ipsos il 53% degli italiani cerca prodotti realizzati con materiali riciclati. Il 48% dichiara di fare riutilizzo di articoli monouso, il 41% rifiuta esplicitamente prodotti con confezioni difficili da smaltire, il 24 % smette di andare nei negozi che usano imballaggi non riciclabili. Mi sembrano dati che le imprese non possono non tenere in considerazione. Da qui le attività di marca sempre più frequenti su questi temi. I brand abbracciano questa nuova sensibilità.
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5 / Chi è più avanti oggi su questi temi? I brand o il pubblico? Chi traina chi?
È indubbio che la molla sia scattata tra il pubblico dei consumatori. Il packaging rappresenta oggi il primo fattore di sostenibilità su cui viene valutato un brand. Il nuovo cittadino-consumatore reagisce in prima persona quando l’imballaggio non è eco-sostenibile. È come una presa di coscienza, una reazione ad una serie di comportamenti quotidiani di cui tutti ci sentiamo parte: il 74% della popolazione pensa di aver contribuito personalmente alle isole di rifiuti negli oceani.
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6 / Ci sono esempi in questo ambito che ti hanno colpito ultimamente?
Quello di Lego, ad esempio. Il brand danese ha comunicato di voler utilizzare solo bioplastiche ecologiche per i suoi mattoncini da costruzione. È una svolta enorme da un punto di vista produttivo, soprattutto per un gruppo così grande. Ikea invece ha deciso di non distribuire più il proprio catalogo nelle case dei consumatori. L’azienda ha dichiarato che si tratta di una svolta legata a criteri di sostenibilità, l’obiettivo è un enorme risparmio di carta. Che piaccia o no, si tratta di scelte semplicemente impensabili fino a pochi anni fa.
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7 / In una recente intervista al Sole24Ore hai spiegato le potenzialità dell’incontro tra packaging e nuove tecnologie. Quali ti sembrano le possibili evoluzioni?
Nell’intervista ho detto che le nuove scatole sugli scaffali diventano piccoli televisori, ognuna capace di trasmettere storie differenti. Mi sembra l’immagine più efficace. Con la realtà aumentata, ad esempio, le etichette acquisiscono un potenziale narrativo infinito. Interagendo poi con i social network, l’etichetta si trasforma in un nuovo medium, portatore di informazioni, servizi, relazioni e intrattenimento.
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8 / Qualche anno fa hai seguito da vicino il progetto “Nutella Unica”, con la produzione di milioni di vasetti unici, ognuno con un diverso pattern grafico. Progetti come questo stanno ridefinendo il packaging del futuro?
È stato un progetto avvincente, nato dall’incontro di condizioni ideali: un’innovazione tecnologica portata dalle nuove stampanti digitali, un love-brand, un team ambizioso. Sono condizioni che non sempre si verificano sul mercato, ma che indicano una direzione. Bisogna avvicinare le marche alle persone, non solo con storie calate dall’alto, ma offrendo ai consumatori la possibilità di crearne di proprie.
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