L’evoluzione della stampa digitale potrebbe permetterci di abbandonarli. Soprattutto grazie a "Digimarc"
26 Febbraio 2020
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Sapete chi ha inventato il codice a barre? Due studenti di ingegneria, Joseph Woodland e Bernard Silver, che intorno alla metà del secolo scorso cercavano un sistema per automatizzare le operazioni di cassa su richiesta del proprietario di un’azienda del settore alimentare. Dopo numerosi tentativi più o meno fallimentari, Woodland riuscì a sviluppare il primo codice a barra lineare che venne adottato nel 1973 con il nome di UPC (Universal Product Code). Il 26 giugno 1974, in un supermercato dell’Ohio, veniva venduto il primo pacchetto di gomme battuto in cassa tramite un lettore di codice a barre. Oggi i codici a barre si sono evoluti, ne esistono di ogni tipo.
Il 26 giugno 1974 veniva venduto il primo pacchetto di gomme tramite un lettore di codice a barre.
Tutti però sono più o meno assimilabili a due macrocategorie. Da una parte i codici lineari, in cui rientrano il già citato UPC (che fa riferimento a prodotti provenienti da Regno Unito, USA, Australia, Nuova Zelanda e Canada) e l’EAN (European Article Number) utilizzato prevalentemente nel mercato europeo. Dall’altra, i codici bidimensionali tra cui i famosissimi QR code.
Insomma, siamo abituati a pensare le confezioni dei prodotti inevitabilmente provviste di codici a barre. Eppure l’evoluzione delle tecnologie di stampa digitali ci sta portando in tutt’altra direzione.
Recentemente un articolo apparso su Labels&Labeling ha raccontato gli sviluppi dall’azienda statunitense Digimarc. Negli ultimi anni quest’ultima ha brevettato un digital barcode che è diventato anche un marchio registrato. In sostanza si tratta di un codice a barre invisibile che, come un codice a barre tradizionale, riporta informazioni criptate relative al prodotto. Le informazioni vengono scannerizzate da appositi lettori o tramite smartphone (attraverso l’appDigimarc Discover). A differenza dei codici tradizionali, il codice Digimarc rientra pienamente nella grafica del packaging e non è relegato a una porzione circoscritta della confezione.
L’evoluzione delle tecnologie di stampa digitali ci sta portando in tutt’altra direzione.
Questa caratteristica apre la strada a una miriade di applicazioni pratiche. La prima è quella di ridurre i tempi di check out alla cassa (come mostra questo video), migliorando di conseguenza l’esperienza d’acquisto degli utenti. Inoltre, il codice invisibile rappresenta un sistema anticontraffazione più sicuro per le aziende.
Il logo di Digimarc
Infine, essendo parte integrante della grafica, il codice non sottrae spazio libero sul pack per informazioni utili sul brand e il prodotto. Ad oggi il codice è adatto ad ogni genere di merce (dalle confezioni destinate alla GDO all’editoria) e questo gli è valso il titolo di “the barcode for everything” (“il codice a barre per tutto”).
Da un punto di vista tecnico, il codice Digimarc è compatibile con i processi di stampa flessografica, offset e digitale. Il codice viene inserito nel file di stampa – mediante un plug-in installato all’interno di Adobe Illustrator o Photoshop – abbinandolo a uno dei colori di stampa (solitamente il ciano, perché è quello che assicura maggior contrasto). Il principale limite tecnologico è rappresentato dal fatto che in fase di correzione colore è possibile che gli operatori cancellino inavvertitamente il codice. In più, al momento, non è possibile stampare Digimarc su immagini in bianco puro.
Ad ogni modo la catena di supermercati statunitense Walmart ha già pensato di approfittarne, cominciando a utilizzare Digimarc sul marchio Great Value e su etichette termiche stampate su alimenti freschi. La rivoluzione introdotta da Digimarc ha convinto inoltre Procter&Gamble a invitare l’azienda ad un panel del World Economic Forum, per discutere delle implicazioni dell’innovazione sulla filiera produttiva e sul settore del packaging.
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