Che invenzione, la carta
Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.
“Il codice a barre è uno straordinario pezzo di tecnologia“, afferma in apertura un articolo del sito The Atlantic dedicato alla storia e alle evoluzioni del codice a barre, la striscia grafica che compare praticamente su ogni packaging del mondo. “È un linguaggio geniale fatto di semplici linee bianche e nere, che consente agli scanner di riconoscere miliardi di prodotti e stabilirne il prezzo in ogni angolo del pianeta“.
Inventato nel 1974, il codice a barre ha reso possibile un nuovo livello di efficienza nel tracciamento e nella gestione delle merci, aprendo la strada all’enorme proliferazione di prodotti in vendita nei negozi. Prima della sua invenzione, un supermercato conteneva in media 9.000 prodotti, mentre oggi nei supermarket è possibile trovare fino a 30.000 articoli. In mezzo secolo il codice a barre ha rivoluzionato per sempre il commercio globale.
La sua forma è rimasta più o meno la stessa da sempre: riguardando il primo codice a barre stampato 50 anni fa su una confezione di chewingum Wrigley‘s, la grafica non sembra essere invecchiata troppo. Gli scanner sono diventati più economici e intelligenti, ma il codice è rimasto sostanzialmente lo stesso. Almeno per ora.
Il codice a barre sui packaging ha reso possibile un nuovo livello di efficienza nel tracciamento e nella gestione delle merci
Prima dei codice a barre c’era stata l’epoca delle “etichette dei prezzi”: ad ogni prodotto veniva applicato un adesivo con l’indicazione del costo, stampato spesso direttamente nei negozi. All’inizio degli anni ’70 un comitato formato dalle maggiori aziende alimentari si riunì per trovare una soluzione migliore. I membri pensarono ad una sorta di codice universale e cercarono qualcuno in grado di progettarlo.
Il codice doveva essere a prova di errore, per evitare che uno scanner confondesse prodotti diversi. Doveva essere semplice, così che un cassiere potesse riconoscerlo e passarlo rapidamente sul lettore da qualsiasi angolazione. Doveva avere un formato ridotto, per adattarsi anche ai packaging più piccoli. E infine doveva essere stampabile in modo semplice ed economico, per fare in modo che il sistema non costasse una fortuna.
All’inizio degli anni ’70 le aziende alimentari si riunirono per trovare una soluzione. Pensarono ad un codice universale e cercarono qualcuno in grado di progettarlo.
Se le cose fossero andate un po’ diversamente, oggi avremmo codici a barre circolari o semicircolari. Il comitato valutò, infatti, diverse proposte tra quelle inviate da Europa e Stati Uniti. In particolare venne approfondita la possibilità di un codice a forma di sole, proposto dalla società RCA e sperimentato in un supermarket in Ohio. Poi nel 1973 il comitato comunicò la sua decisione finale: fu selezionato il codice sviluppato da IBM, rettangolare e zebrato, detto UPC (Universal Product Code). Sarebbe diventato in pochi decenni il codice diffuso su ogni confezione al mondo, fino ai giorni nostri.
Il suo funzionamento è piuttosto semplice: le barre rappresentano altrettanti numeri e la luce del lettore si riflette diversamente sulle linee bianche e su quelle nere, generando due valori, 0 e 1. Il dispositivo riconosce 12 cifre diverse, di cui la prima parte indica il produttore, mentre la seconda il prodotto specifico.
In principio il nuovo codice a barre avrebbe dovuto essere limitato alle merci alimentari. Il lancio fu inoltre accompagnato da grandi polemiche, visto che molti temevano che la sua introduzione avrebbe automatizzato una parte del lavoro nei supermercati. Alcuni studi di settore previdero che meno di 10.000 aziende lo avrebbero utilizzato. Un abbaglio colossale.
Con il passare del tempo la praticità e l’efficacia del nuovo sistema si imposero inesorabilmente. Oggi nei negozi di tutto il mondo vengono scansionate, ogni secondo, più di 10.000 confezioni con codici a barre. “Tra migliaia di anni, un archeologo scoprirà il codice a barre e capirà che fu il primo passo verso la digitalizzazione delle informazioni commerciali”, ha detto Mark Cohen, professore di vendita al dettaglio alla Columbia Business School.
Il codice selezionato fu quello di IBM, detto UPC (Universal Product Code), destinato a diventare il codice presente su ogni confezione al mondo, fino ai giorni nostri.
Nel corso della sua storia il codice a barre ha consentito, di fatto, una rivoluzione nell’organizzazione dei prodotti, favorendo la nascita di megastore e catene di negozi. Per decenni è stato il protagonista indiscusso del consumismo globale. Poi è arrivato il QR code. Sebbene all’inizio fosse una specie di disastro, infatti, il codice detto QR (acronimo di “Quick Response“) ha invaso gradualmente i menù dei ristoranti, i manuali di istruzione degli elettromodestci e gli spot televisivi. Infine è arrivato sulle confezioni.
Le sue linee da inquadrare con uno smartphone fungono da collegamenti rapidissimi a Internet, spalancando nuove opportunità per il marketing delle aziende. A seconda di come sono impostati, i QR code sono in grado di funzionare come i codici a barre originali: memorizzano informazioni sui prodotti e possono essere scansionati con un segnale acustico alla cassa. La differenza è che i codici QR sono in grado di archiviare molte più informazioni. Un codice tradizionale indica soltato un articolo e il suo prezzo, mentre un codice QR può identificare la data di scadenza di un prodotto, quando e dove è stato realizzato e molti altri dati sulla sua distribuzione.
Il codice a barre ha consentito una rivoluzione nell’organizzazione dei prodotti sugli scaffali. Poi è arrivato il QR code.
Al momento i vantaggi dei codice QR sono potenziali, più che reali, ma attraggono sempre più brand e aziende. Melissa Garbayo, portavoce del brand Puma, ha dichiarato che i codici QR stanno già consentendo all’azienda un nuovo livello di gestione degli inventari, permettendo di tracciare la posizione precisa delle scatole in migliaia di negozi.
I manager delle aziende sono entusiasti delle potenzialità di un codice più avanzato. Oggi il reparto vendite di un supermercato può utilizzare i codici QR per ridurre automaticamente il prezzo di uno yogurt in scadenza per cercare di venderlo più in fretta. Una farmacista può informarsi immediatamente se i tubetti di dentifricio esposti su un espositore vicino all’ingresso vendono più degli stessi tubetti su uno scaffale in fondo. E poi ci sono i punti-fedeltà, i coupon, le ricette, i giochi interattivi: tutte attività di marketing associabili ai codici QR .
Se il vecchio codice a barre ha creato lo shopping moderno in tutta la sua varietà, quello nuovo sta inaugurando la prossima era del commercio digitale, con le insidie legate alla raccolta di dati e al cosiddetto “iper-targeting”. La sua diffusione è tale che entro la fine del 2028, secondo gli esperti, buona parte dei packaging avrà un codice QR . Il codice a barre sta per essere definitivamente superato.
Eredi dei codici a barre, i codice QR attraggono sempre più brand e aziende. I manager sono entusiasti delle potenzialità di un codice più avanzato.
Quando il vecchio codice a barre scomparirà, probabilmente non ci saranno celebrazioni in suo onore. Niente statue per George Laurer, inventore del codice zebrato di IBM, e nessun riconoscimento per Joseph Woodland e Bernard Silver, inventori del primo codice a barre in assoluto. Eppure forse l’umile codice a barre e i suoi creatori meriterebbero qualche riconoscimento in più. La sua introduzione fu resa possibile da un raro momento di collaborazione tra società concorrenti: IBM e le aziende che avevano lavorato al codice decisero di rendere il simbolo di dominio pubblico, rinunciando ad occasioni di profitto, in uno dei più grandi esempi di cooperazione industriale di sempre.
Nei prossimi anni il codice a barre sarà inevitabilmente soppiantato da nuovi tipi di tecnologia più avanzati, per lo più basati su intelligenze artificiali. Eppure c’è probabilmente una cosa che le start-up delle Silicon Valley non potranno mai battere del vecchio codice zebrato: la sua universalità. Nel corso dei decenni l’immagine è diventata incredibilmente familiare ad un pubblicato enorme, composto da milioni di persone in tutto il mondo. Oggi non si può escludere che una forma così presente nell’immaginario collettivo possa trovare il modo di sopravvivere in qualche modo, reinventandosi in modi creativi. Forse resterà parte delle nostre giornate. O forse soltanto della nostra memoria.
Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.