I packaging dell’antico Egitto
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
In commercio abbiamo visto il cartone, la bottiglia, la latta, il tetraedro e perfino la lattina: senza voler essere esaustivi, comprare il latte è una questione di gusti, ma soprattutto di formati. E in giro ce ne sono tanti.
Le confezioni del latte si sono adattate nel tempo alle caratteristiche del prodotto, all’innovazione industriale, alle metodologie di trasporto, alla sfida delle marche. La cosa può avere a che fare con le tecniche industriali o con le abitudini di consumo, ma ogni scelta racconta una storia. E noi abbiamo deciso di raccontarvela.
In termini di quantità prodotte, il latte può essere considerato una comodity. È cioè una materia prima standardizzata e ottenibile comodamente. A differenza di olio e frumento non è però facilmente immagazzinabile, a causa della sua alta deperibilità, e questo ha portato negli anni i produttori a dover reinventare i metodi di conservazione e di trasporto.
Sul finire del ’800 il primo e storico packaging del latte è stata la latta di alluminio. Il contenitore veniva ricaricato quotidianamente dall’esercente, che provvedeva poi a versare il contenuto “sfuso” nei recipienti dei consumatori.
Sul finire del ’800 il primo e storico packaging del latte è stata la latta di alluminio
La vendita del latte all’epoca era basata sulla praticità e sulla catena distributiva corta. La gente consumava latte in base alle possibilità, senza grandi certezze sugli standard sanitari. A quel punto Harvey e Samuel Bernhart, imprenditori e soci di Harvey Thatcher, farmacista-inventore americano di Potsdam (NY), realizzarono un sistema più pratico e sicuro, fatto di vetro e dischi di paraffina che permettevano di sigillare il latte accuratamente. Era il 1886 ed era nata la bottiglia del latte come la conosciamo.
La bottiglia fu chiamata “Common Sense Milk Bottle” e divenne una forma universale. Era del tipo bordolese, dal collo basso e largo, ancora oggi utilizzata da diverse aziende occidentali. Permetteva un consumo casalingo pratico e frequente, era ideale per essere conservata in frigo. La sua messa in commercio facilitò il trasporto e ha reso più sicuro l’imbottigliamento.
La Common Sense Milk Bottle definì la forma universale della bottiglia di latte
Ciò nonostante il vetro restava un materiale particolarmente fragile. Fu chiaro abbastanza presto alle aziende che avrebbero dovuto brevettare altre soluzioni per mettere in sicurezza il trasporto su lunghe distanze, conservando lo stesso livello di qualità nella conservazione del prodotto.
Nei primi decenni del ‘900, nonostante i rallentamenti dovuti alle guerre, si moltiplicarono i tentativi di perfezionare le tecniche di confezionamento del latte. Nel 1950 arrivò sul mercato il Gable Top, il cartone del latte.
Nel ‘900 si moltiplicarono i tentativi di perfezionare le tecniche di confezionamento del latte
Nato da un prototipo depositato da John Van Wormer nel 1915, il pack è oggi il formato di cartone più presente nella distribuzione del latte. Realizzato a partire da un solo foglio di cartone cerato, modellato in forma rettangolare, può essere piegato, riempito e sigillato dall’azienda senza grosse spese di trasporto e logistica.
Grazie al Gable Top, il latte in cartone diventa un emblema dei consumi di massa. È più economico, adatto al mercato domestico e più resistente del vetro. Inoltre protegge efficacemente il latte dall’esposizione alla luce solare, permettendo una conservazione più lunga e un risparmio per le famiglie.
Nel 1950 arrivò sul mercato il Gable Top, il cartone del latte
Curioso è stato il caso del formato concorrente, che in Europa andò diffondendosi negli stessi anni: il Tetrapak. Progettato e lanciato sul mercato nel 1950 da Ruben Rausing, le confezioni in tetrapak sono ricordate per l’insolita forma tetragonale, che le rendeva stabili e agili, adatte ad un consumo veloce nei differenti formati.
Il Tetrapak fu molto apprezzato dalle aziende in particolare per il processo di imbottigliamento, durante il quale garantiva la massima chiusura ermetica e una solida saldatura. Risultò però essere poco ergonomico e difficile da impilare, così nel giro di pochi anni cadde in disuso. Per i consumatori del latte sarebbe diventato soltanto un ricordo.
Il Tetrapak risultò essere poco ergonomico e difficile da impilare. Nel giro di pochi anni cadde in disuso
Da allora nel mercato del latte si andò sviluppando una dicotomia tra il pratico cartone usa-e-getta e il più solido vetro. Furono introdotte varianti e nuovi materiali di rinforzo, ma il rischio di alterare il gusto e di far lievitare i costi restò alto. Poi a metà degli anni ’90 tra le bottiglie del latte fu introdotta un’altra fortunata soluzione: il polimero, la plastica.
Già utilizzato da più di un decennio per le bevande gassate e l’acqua, le confezioni di plastica che invasero il mercato erano composte di HDPE, un materiale che conferisce maggiore resistenza agli urti e un aspetto più solido alla confezione. Successivamente sarebbe arrivato il PET, che ha introdotto più elasticità e trasparenza, per un consumo immediato, più sicuro e dinamico. Come accaduto in altre categorie, il packaging di plastica si diffuse rapidamente sul mercato delle confezioni, grazie alla sua versatilità.
A metà degli anni ’90 viene introdotta un’altra fortunata soluzione: il polimero, la plastica.
Tra il finire degli anni ’90 e i giorni nostri, le forme delle confezioni si sono moltiplicate. La sfida tra i brand si è trasferita principalmente su materiali sostenibili, che rispondono alla crescente domanda di ridurre l’impatto ambientale dei packaging.
Alcune aziende stanno proponendo soluzioni specifiche e innovative, mentre altre assecondano i segmenti più conservatori. Si vedono in giro contemporaneamente confezioni in bagassa (un materiale ottenuto dalla canna da zucchero), ricavate dal siero del latte e altre tradizionali in vetro, plastica e cartone. Il formato del latte dipenderà da come decideremo di consumarlo, così come dal mondo che ci troveremo intorno.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.
Ce ne sono pochi nelle case, ma sono ovunque in molti settori del mercato, soprattutto nel campo degli alimenti freschi.