Le nanotecnologie applicate al pack estendono la shelf life dei prodotti. Ma, ci sono dei ma
27 Novembre 2019
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Fino a vent’anni fa la ricerca tecnologica nell’ambito del packaging alimentare si limitava a sviluppare materiali in grado di preservare i prodotti dagli agenti esterni, che fossero il più possibile inerti, per impedire che i componenti chimici o metallici con cui erano trattate le confezioni potessero trasferirsi ad alimenti o bevande.
A partire dalla metà degli anni Novanta lo sviluppo di food packaging ha subito un cambio di rotta: in un’epoca in cui garantire la sicurezza alimentare rappresenta una delle principali preoccupazioni dei brand, i produttori di food packaging si sono ritrovati a investire sempre maggiori risorse nello sviluppo di imballaggi “attivi”.
In quest’ambito, molti analisti ritengono che lo sviluppo di nanotecnologie applicate all’industria del cibo sia il segmento in cui sono previsti maggiori margini di crescita nei prossimi anni. Per “nanopackaging” si intende l’imballaggio che, attraverso l’inserimento di nanocomposti, è in grado di svolgere funzioni più elaborate rispetto a quella di contenere semplicemente il cibo.
Unostudio di Polaris Market Research stima che entro il 2026 il mercato globale di nano packaging raggiungerà un giro d’affari di 90 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuale del 12,7%. Il motivo è presto detto. L’inserimento di nano componenti fa sì che gli imballaggi acquisiscano funzionalità attive, prolungando la shelf life del prodotto, ovvero la sua vita commerciale, senza intaccare l’estetica della confezione.
Si stima che entro il 2026 il mercato globale di nano packaging raggiungerà un giro d’affari di 90 miliardi di dollari.
A seconda della loro natura, i nanocomposti possono modificare le caratteristiche meccanico-strutturali di un imballaggio, aumentandone rigidità, duttilità o resistenza. Alcuni (come le nanoparticelle di argento o biossido di titanio) rilevano la presenza di batteri e rilasciano sostanze che possono limitarne la proliferazione.
Altri, come le nanoparticelle di argilla, fungono da barriera di protezione dai gas o incrementano la stabilità termica. Tra le funzionalità che una confezione può acquisire c’è quella di oxygen scavenging che permette alla confezione di catturare l’ossigeno che si infiltra dall’esterno e quella di ethylene scavenging, che consente di trattenere l’etilene prodotto dalla maturazione della frutta.
I nanocomposti possono modificare le caratteristiche di un imballaggio, aumentandone rigidità, duttilità o resistenza.
Come molti progressi scientifici, lo sviluppo delle nanotecnologie nel settore alimentare solleva perplessità. Per questo motivo l’UE ha stabilito che i prodotti ingegnerizzati con nano componenti debbano rispondere a specifici criteri di sicurezza dettati dall’EFSA, l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare. L’anno scorso, l’EFSA ha pubblicato le nuove linee guida che valutano l’impatto di queste nuove applicazioni sull’ambiente e sulla salute dei consumatori. Sul loro sito oltre alla normativa in vigore, è presente anche un video divulgativo che spiega cosa sono le nanotecnologie, analizzandone costi e benefici.
Oltre alle perplessità sollevate in materia di sicurezza, il nanopackaging subisce la competizione di materiali tradizionali come i film multistrato o i polimeri accoppiati che, per certi versi, sono in grado di esercitare le stesse proprietà di barriera da gas o agenti esterni, senza l’inserimento di nanocomposti.
Un altro problema riguarda l’adeguamento della filiera produttiva e la necessità di introdurre personale specializzato nelle aziende che possa seguire tutte le fasi di inserimento di queste nuove tecnologie. Insomma, le nanotecnologie rappresentano probabilmente il futuro del packaging, ma la strada da percorrere è ancora lunga.
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