I packaging dell’antico Egitto
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Sempre più persone in tutto il mondo scelgono di adottare un’alimentazione a base vegetale. C’è chi lo fa per motivi di salute, chi per ragioni etiche, volendo contribuire a ridurre lo sfruttamento degli animali e l’impatto ambientale.
L’arrivo sul mercato di una vasta gamma di proposte vegane, non solo nell’industria alimentare, ma anche in quella cosmetica, impone una nuova sfida ai brand, che devono mostrarsi coerenti con i valori che promuovono, in tutte le fasi del ciclo produttivo.
Questo discorso si estende anche al packaging: l’etichetta vegan non si applica soltanto ai prodotti, ma anche agli imballaggi.
Anche se non ci pensiamo, le confezioni che utilizziamo quotidianamente contengono spesso derivati animali come caseina, lanolina, cera d’api o sego bovino.
La lanolina (o grasso di lana) viene utilizzata come lubrificante all’interno delle macchine di produzione, mentre cera d’api e caseina sono impiegate come collanti e lucidanti. Molti adesivi vengono realizzati utilizzando gelatine di origine animale.
Anche se non ci pensiamo, le confezioni che utilizziamo contengono spesso derivati animali
Per ovviare al problema, si ricorre ad adesivi sintetici, che però potrebbero essere difficili da riciclare, e questo apre un ulteriore dilemma nel consumatore quanto nel produttore.
Ma quando un packaging si può definire vegano? Al momento c’è ancora incompletezza giuridica. Sebbene il Parlamento Europeo non l’abbia ancora trasformato in legge, infatti, esiste uno standard comune scritto dalle maggiori organizzazioni vegan d’Europa all’interno del Working Vegan Group della ONG Safe (Safe Food Advocacy Europe) a Bruxelles. Si tratta al momento dell’unica definizione autorevole e riconosciuta da parte dei vegani.
Secondo questo standard, il termine “vegano” non indica solo l’assenza di derivati animali in un dato prodotto ma chiarisce la presenza di requisiti etici minimi.
Il termine vegano non indica solo assenza di derivati animali nel prodotto, ma chiarisce il rispetto di requisiti etici minimi nell’intero ciclo produttivo
In Italia, il marchio VeganOK verifica l’assenza di sostanze animali non soltanto nel prodotto ma anche nella confezione. Oltre a controllare i materiali principali da cui è composto l’imballaggio, verifica la conformità degli inchiostri e delle colle sulle etichette. Inoltre, garantisce che l’azienda autorizzata all’uso del marchio non effettui o commissioni a terzi esperimenti su animali (vivisezione) in tutte le fasi del ciclo produttivo.
VeganOK definisce anche una disciplinare per quel che riguarda le diciture riportate sul packaging. Ciò significa che su un prodotto certificato VeganOK non possono comparire indicazioni non conformi alla scelta etica vegan.
Locuzioni come “ideale sulle carni rosse” o “perfetto da accompagnare con il pesce” (spesso presenti su olio e vino) non sono conformi. Sono escluse anche le immagini in cui il prodotto viene abbinato a derivati animali (per esempio formaggi, uova, miele).
Tra le principali innovazioni introdotte dai produttori di packaging nello sviluppo di imballaggi vegani spicca l’utilizzo di materie prime provenienti da fonti rinnovabili (carta, cartone) o di nuove soluzioni di origine vegetale, come bioplastiche e nanomateriali.
Locuzioni come “ideale sulle carni rosse” o “perfetto da accompagnare con il pesce” non sono conformi all’etica vegan e non possono comparire sui pack certificati VeganOK
Recentemente Avery Dennison ha lanciato un intero portfolio di etichette vegane che, oltre a non contenere componenti o OGM di origine animale, sono state create senza condurre test sugli animali. La collezione ha ricevuto l’approvazione di EVE VEGAN, un’organizzazione indipendente di certificazione associata a Vegan France, che promuove alternative vegane in diverse industrie, da quella farmaceutica a quella alimentare.
Tra i produttori di packaging che hanno colto in anticipo questa nuova esigenza del mercato, c’è Vegware. Nata nel 2005 in California, è oggi considerata specialista globale degli imballaggi compostabili per il food service a base vegetale. Vegware è presente in 70 Paesi e collabora con grossi servizi di catering e distributori, con l’obiettivo di aiutare i professionisti della ristorazione a raggiungere determinati standard di sostenibilità.
Grazie all’utilizzo della stampa digitale, Vegware offre la possibilità di customizzare i propri prodotti. Esiste un’apposita sezione del sito tramite la quale il cliente può scegliere tipologia e formato di imballaggio, caricare il proprio artwork, definire le quantità e procedere con la stampa dei propri pack compostabili.
Anche l’occhio vuole la sua parte. Il sito dei Pentawards ha raccolto alcune delle proposte di packaging vegano più creative in circolazione.
L’agenzia scandinava Everland ha collaborato con l’illustratrice Egle Zvirblyte per aiutare la start-up francese di cibo a base vegetale La Vie a catturare l’attenzione dei consumatori. Allontanandosi da alcuni cliché, come quelli di colori che rimandino alla natura, che spesso caratterizzano le alternative alla carne. Everland ha creato un universo di personaggi animali, utilizzando lo stile irriverente tipico di Zvirblyte per distinguersi.
Anche The Refreshment Club ha lavorato su un packaging dal design giocoso e accattivante per i prodotti vegani di Camp. Il color block evoca lo stile pop degli anni Ottanta e Novanta.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.
Ce ne sono pochi nelle case, ma sono ovunque in molti settori del mercato, soprattutto nel campo degli alimenti freschi.