I packaging dell’antico Egitto
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Certe sere non c’è niente di più confortante di ordinare una pizza d’asporto. Eppure, secondo The Atlantic la classica confezione in cartone utilizzata per consegnarla a domicilio avrebbe bisogno di essere ripensata.
Sembra infatti che la qualità del prodotto appena sfornato, una volta confezionato, tenda a essere compromessa dopo pochi minuti. Durante la fase di raffreddamento, quando la pizza è ancora alta, l’acqua contenuta nell’impasto evapora. All’interno del cartone tende a condensarsi e a creare un clima umido che in pochi minuti rende la pizza gommosa e flaccida.
Inoltre, il cartone non è in grado di proteggere adeguatamente il contenuto dalle basse temperature. Nei mesi invernali, se la consegna impiega più di venti minuti, è abbastanza probabile che la pizza arrivi fredda.
Nel XIX secolo, a Napoli, le pizze si trasportavano utilizzando la stufarola, contenitore in rame che i fattorini dell’epoca trasportavano in equilibrio sulla testa.
Dopo la Seconda Guerra mondiale il concetto di pizza d’asporto cominciò a farsi strada. Nacque il primo prototipo di pizza box per come la conosciamo, simile alle scatole in cartoncino utilizzate per confezionare i dolci.
Sembra che a inventare la confezione definitiva fu Tom Monaghan, proprietario di Domino’s, che all’epoca era una piccola catena di pizzerie in Michigan. Monaghan si rivolse a un’azienda di imballaggi locale per realizzare un imballaggio in cartone ondulato abbastanza resistente da garantire il trasporto. Le scatole prevedevano delle prese d’aria (le incisioni circolari che si trovano generalmente sul lato delle confezioni) che servono anche a montare la scatola.
A inventare la classica pizza box fu Tom Monaghan, proprietario di Domino’s che voleva un imballaggio resistente ma leggero
Le confezioni in cartone ondulato presentavano una serie di vantaggi: si prestavano alla produzione in serie, potevano essere impilate senza rovinare il prodotto all’interno ed erano facili da piegare (e quindi da trasportare).
Per questo motivo nei decenni successivi l’idea si diffuse anche in Europa. In Italia l’azienda Trebox registrò il primo brevetto di imballaggio per la pizza verso la metà degli anni Ottanta.
Da allora la confezione è rimasta pressoché la stessa. Per ovviare al problema della “perdita di freschezza” si è imposto l’utilizzo della borsa termica isolata. Alcuni pizzaioli hanno anche provato a modificare la ricetta per adeguarla all’esigenza del delivery che, a partire dal periodo pandemico, non ha fatto che crescere.
Le pizza box si prestavano alla produzione in serie, potevano essere impilate ed erano facili da piegare
Moltissimi tra aziende e appassionati hanno cercato delle soluzioni per migliorare la scatola. Nel 2015 Zume, una start-up della Silicon Valley, ha creato Pizza Pod: un’astronave rotonda in due pezzi realizzata in fibra di canna da zucchero compressa. Se si lascia riposare una pizza al suo interno, le fibre assorbiranno l’umidità residua meglio del cartone, mantenendola croccante. Il marchio tedesco PIZZycle ha introdotto il tupperware per la pizza, un contenitore riutilizzabile costellato di fori di ventilazione sui lati. Persino Apple ha brevettato la sua versione di pizza box. Una delle versioni più creative e funzionali è quella messa a punto dall’azienda indiana VentIt che riesce a ridurre il vapore all’interno di oltre il 25%.
Come ha spiegato il Post, in Italia c’è chi ha provato a rendere più funzionali le scatole. Nel 2010, Comieco, azienda specializzata nel recupero di imballaggi, ha progettato una scatola con prese d’aria più piccole posizionate sul margine superiore delle confezioni in modo da favorire la fuoriuscita del vapore ed evitare l’effetto condensa.
Anche Hot Dry Delivery e KEEPizza propongono sistemi anti condensa all’interno di imballaggi con fori un po’ più grossi e bordi più alti della media. Il problema di queste confezioni è che risultano più difficili da montare rispetto a quelle tradizionali.
C’è anche chi ha provato a migliorare la scatola con l’utilizzo di altri materiali, rivestendo il cartone con PET metallizzato o cominciando a produrre scatole in polistirene. Il problema di queste soluzioni è che spesso sono più costose del cartone tradizionale, oltre che meno sostenibili.
Insomma, forse il cartone della pizza ideale non esiste e non esisterà mai, ma quel che è certo è che ha incoraggiato produttori e brand a sperimentare soluzioni diverse.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.
Ce ne sono pochi nelle case, ma sono ovunque in molti settori del mercato, soprattutto nel campo degli alimenti freschi.