Il packaging della pasta, una storia che parte dall’Italia

L'Italia detiene un primato non solo nel consumo, ma anche nel confezionamento di questo prodotto tradizionale

8 Aprile 2022

Italiani, primi nel consumo di pasta, ma anche nel suo confezionamento. Basta guardare i numeri: oltre 120 imprese, circa 3,9 milioni di tonnellate di confezioni prodotte nel solo 2021 (di cui più della metà destinate all’estero), più di 300 formati diversi, per un valore di produzione che supera i 20 miliardi di euro. Riconoscibilità, garanzia, identità: quanto è difficile tradurre tutto questo in una scatola?

Con un valore di mercato che supera i 20 miliardi di euro, l’Italia detiene il primato nella produzione di pack di pasta

Le tipologie di pasta sono essenzialmente due, secca o fresca, così come lo sono i sistemi più diffusi di confezionamento, in busta o in scatola.

Nel caso della pasta fresca, vengono utilizzate vaschette o secchielli di plastica, specialmente nella ristorazione e nell’hotellerie.

Uno dei moderni macchinari con cui si inscatola la pasta

Alla fine del ciclo produttivo la pasta può essere confezionata verticalmente o “a nastro”, attraverso un sistema automatizzato di pesatura e inserimento nel pack.

In questa fase, incanalata nel flusso dei macchinari, può essere trasferita dai piani di scarico in astucci di cartone, o nei più economici sacchetti di film termoretraibile. 

Sebbene le origini del prodotto siano antiche e la sua storia racconti di una linea di connessione tra Oriente e Occidente, fino a metà Novecento, la regina dei primi piatti era considerata un alimento da vendere sfuso.

Un antico pastificio di Napoli

Complici le condizioni climatiche e le abitudini culinarie, i maggiori progressi tecnologici nella produzione e nella lavorazione della pasta hanno trovato in Italia la loro maggior espressione.

Fino all’introduzione della legge n.580 del 1967 il prodotto stentava a trovare un imballaggio che ne permettesse la diffusione fuori dai confini nazionali.

Fino a metà del ‘900 la regina dei primi piatti era considerata un alimento da vendere sfuso

Una volta introdotto l’obbligo di commercializzare la pasta in confezione chiusa, la prima a sfruttarne i vantaggi fu Barilla. Per oltre un decennio, la multinazionale di Parma aveva realizzato packaging di carta e cartone, e aveva anche realizzato un fascicolo sull’educazione alla scatola (1956) per educare i propri clienti.

Il primo packaging della pasta Barilla disegnato da Ernesto Carboni

Negli anni Cinquanta, l’identità visiva di Barilla fu legata al nome di Erberto Carboni, designer che contribuì a progettare alcuni dei pack più iconici.

A questa collaborazione si devono l’introduzione dell’inconfondibile colore blu, che permetteva di riconoscere facilmente il prodotto sullo scaffale, e l’eliminazione delle finestre di cellophane, che vennero sostituite da illustrazioni del prodotto contenuto.

Il primo packaging della pasta Barilla totalmente blu

Oltre a Barilla, molti altri pastifici italiani, come La Molisana, Rummo e Garofalo, hanno saputo elaborare scelte altrettanto accattivanti.

La bellezza e la coerenza grafica del confezionamento trasparente ha costituito un forte elemento di riconoscibilità per questi brand. La loro versatilità li porta, ancora oggi, a sperimentazioni di grande fortuna.

Ad esempio, la collaborazione di Rummo con Fendi che hanno realizzato un’edizione speciale nel 2020, e il restyling di Garofalo basato sulle idee del Movimento Grandi Minuti, una sfida social lanciata dall’agenzia creativa Hub09.

L’edizione limitata della pasta Rummo realizzata per Fendi
Il pack dei Fusilloni 13 minuti di Garofalo, nata da un’idea di Movimento Grandi Minuti

Negli ultimi anni, il cartone e il pacco di plastica sono diventate le tipologie di confezione maggiormente in uso nella grande distribuzione italiana, sebbene anche nel settore sia in atto un’opera di rinnovamento dovuta ad esigenze di sostenibilità e miglioramento.

A far da guida oggi è lo scenario che si sta venendo a creare fuori dalla GDO e fuori dai confini nazionali, dove le marche, italiane e non, provano a sfidare la concorrenza con variazioni e formati totalmente nuovi, capaci di attirare target più giovani, o dai gusti più ricercati. 

A far da guida oggi è lo scenario che si sta venendo a creare fuori dalla GDO e fuori dai confini nazionali

Il pastificio Felicetti, nella Val di Fiemme, è famoso in Italia per i suoi pack in cartone minimali, dalle tinte piatte, che propongono un  prodotto di alta qualità con varietà pregiate di ingredienti. In collaborazione con Luxoro ha scelto di creare una limited edition che esalta l’artigianato italiano grazie ad illustrazioni classiche di angeli che abbracciano sagome di posate dorate che sembrano arpe, tutte stampate in rilievo.

Tutta l’eleganza della pasta Felicetti, realizzata in collaborazione con Feli

Brand come Giovanni Rana e l’ucraina Longi  approdano all’estero con un nuovo e interessante formato, il pack di cartone tubolare. Più facile da aprire perché dotato di tappo, la sua superficie è più liscia e solida del classico astuccio di cartone e maggiormente prestata a concept grafici creativi e originali.

I tubi di pasta di Longi

I Raggi di bicicletta di Giovanni Rana, ad esempio, partono dalla somiglianza degli spaghetti al nero di seppia, per creare un pack dall’aria nostalgica, impreziosito da finiture dorate.

Il tubo degli Spaghetti al nero di seppia di Giovanni Rana

Patra Triya (in israeliano, pasta fresca) è il pastificio tutto al femminile creato da Maayan Kinneret a Gerusalemme. I loro negozi sono vere e proprie boutique in cui è possibile trovare scatole che raccontano il fantastico mondo della pasta. Le fantasie cromatiche minimaliste, dai colori caldi, trasformano un’acquisto tradizionale in qualcosa di estremamente contemporaneo.

Le favolose scatole di Patra Triya

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