Che invenzione, la carta
Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.
Recentemente Nutella ha dovuto confermare di aver ridotto di circa 50gr i suoi vasetti per il mercato inglese e belga, senza aver diminuito il prezzo unitario.
È uno degli ultimi episodi di un fenomeno noto come “shrikflation”, che sta provocando da qualche anno proteste di osservatori e associazioni di consumatori.
L’espressione, nata dall’unione tra i termini inglesi shrinkage (ovvero “rimpicciolire“) e inflation (“rincaro“), indica un processo tutt’altro che nuovo, che risale ormai all’inizio del decennio.
Con la shrinkflation i brand riducono i formati senza variare i prezzi
Secondo l’Ufficio Nazionale Statistiche del Regno Unito, tra il 2012 e il 2017 si sono registrati 2500 casi di packaging “alleggeriti”, senza alcuna variazione di prezzo sugli scaffali.
Oltre il caso Nutella, altri brand sono finiti nell’occhio del ciclone. Lo sanno i fan inglesi del Toblerone, che nel 2016 all’indomani del voto su Brexit hanno scoperto che il loro snack sarebbe stato modificato ed alleggerito, a causa degli aumenti sui costi di produzione.
La Mondelēz International, casa produttrice della famosa barretta, ha ricondotto l’accaduto ad una scelta conservativa, intrapresa al fine di tutelare la convenienza del prodotto e la forma del packaging: “per garantire che Toblerone rimanga conveniente e mantenga la sua caratteristica forma triangolare, abbiamo dovuto ridurre il peso delle nostre barre nel Regno Unito.”
Oltre il caso Nutella, altri brand sono finiti nell’occhio del ciclone.
Le motivazioni che spingono le aziende a questa pratica possono essere varie: c’è chi punta il dito sulla domanda o sugli aggiornamenti delle linee produttive in determinati periodi storici. E c’è chi, come Mondelēz, pone l’accento sull’oscillazione dei prezzi delle materie prime o sulle tasse.
Pierre Chandon, professore francese di marketing presso INSEAD, l’Istituto Europeo di Amministrazione Aziendale, sostiene che il fenomeno è legato anche alle percezione generale che s’innesca durante il consumo di determinati prodotti: “La prendiamo troppo sul serio. La cosa che non riusciamo a realizzare è che il piacere di un’intera mousse al cioccolato non è prodotto dalla somma del piacere di ogni boccone. Il piacere sta nell’esperienza complessiva, a prescindere dalle dimensioni”.
Per le aziende produttrici di dolciumi e bibite, la shrinkflation è giustificata anche da motivi salutisti: confezioni più piccole fanno ingrassare meno. Un argomento che permette alle aziende di viaggiare indisturbati lungo una linea d’ombra, tra convenienza e interesse per la salute pubblica.
Ma non sempre i brand sono riusciti a convincere il pubblico dei loro consumatori. Coca-Cola nel 1985 aveva ridotto il formato standard delle sue bottiglie per il lancio della New Coke, giustificando la mossa come parte di un’operazione di rilancio. La stessa Coca-Cola è tornata sulle ragioni di quell’insuccesso, definendolo la peggior mossa di marketing mai realizzata.
Per le aziende di dolciumi e bibite, la shrinkflation è giustificata anche da motivi salutisti
Nel frattempo sono nati alcuni osservatori di consumatori che vigilano sul fenomeno, segnalando casi di rimpicciolimento in atto e condividendone fastidio e dolori.
Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.