Sentiamo parlare sempre più spesso di Internet of Things (IoT) e delle implicazioni che l’integrazione tra tecnologie digitali e oggetti di uso comune avrà sulle nostre vite. Questa discussione riguarda anche lo smart packaging. Con questa definizione si indicano le confezioni che, grazie all’inserimento di elettronica stampata in digitale, acquistano funzionalità che vanno ben oltre il semplice contenimento di un prodotto.
Secondo un report pubblicato da Smithers Pira, intitolato The Future of Active and Intelligent Packaging to 2023, il valore di mercato dell’industria dello smart packaging si aggira attualmente intorno ai 6 miliardi di dollari ed è destinato a crescere del 6% annuo entro il 2024.
Con “smart packaging” si indicano le confezioni che, grazie all’inserimento di elettronica stampata in digitale, acquistano speciali funzionalità.
Oggi le aziende utilizzano il packaging intelligente sia per migliorare la logistica e la tracciabilità dei prodotti, sia per comunicare in maniera più efficace, interagendo in tempo reale con i consumatori. Nel giro di pochi anni si è passati dai semplici QR code a dispositivi sempre più sofisticati, come RFID e NFC, che prevedono l’inserimento di un tag elettronico direttamente all’interno delle confezioni, volte a non intaccare l’estetica del prodotto.
Il valore di mercato dell’industria dello smart packaging si aggira attualmente ai 6 miliardi di dollari.
Va da sé che più il packaging diventa intelligente e interattivo, più diventa difficile capire dove finiscono i dati che i consumatori mettono a disposizione. Secondo uno studio condotto da Deloitte Insights, una delle criticità legate all’utilizzo dello smart packaging riguarda proprio le limitazioni poste dalle recenti normative sulla privacy, soprattutto con l’entrata in vigore del Regolamento generale dell’Unione Europea sulla protezione dei dati, anche noto come GDPR. Come spiega Deloitte, in realtà, il problema non riguarderà tutte le tipologie di smart pack. Le confezioni in cui i dispositivi smart vengono utilizzati per motivi legati alla logistica o alla sicurezza (come i tag anticontraffazione) dovrebbero riuscire ad aggirare il problema legato alla privacy, tramite la definizione di accordi commerciali tra le aziende che realizzano le confezioni e i brand che li acquistano e rivendono. La sfida riguarda principalmente le confezioni utilizzate per migliorare la user experience che, per poter funzionare, richiedono la raccolta di alcune informazioni personali degli utenti.
Più il packaging diventa intelligente e interattivo, più diventa difficile capire dove finiscono i dati che i consumatori mettono a disposizione.
Secondo un articolo pubblicato da The Startup le aziende devono assicurarsi di essere chiare con i consumatori, dichiarando esplicitamente che per attivare le funzionalità di una confezione è necessario raccogliere alcune informazioni personali. Un modo per farlo potrebbe essere introdurre meccanismi opt-in, come quelli utilizzati nell’ambito dell’email marketing, che fanno sì che le comunicazioni commerciali vengano inviate solo previo esplicito consenso dell’utente. In alternativa, le confezioni dovrebbero riportare una dicitura in cui si specifica che per accedere ai contenuti speciali contenuti nell’imballaggio, è necessario autorizzare la raccolta di alcuni dati.
Il futuro dello smart packaging si gioca, insomma, sulla trasparenza. In assenza di indicazioni chiare, le aziende rischiano di compromettere il rapporto di fiducia con gli utenti. Le statistiche mostrano che questi ultimi non sono contrari a condividere informazioni personali, purché siano messi al corrente dei motivi per cui questi dati vengono raccolti. La sfida per chi progetta packaging sarà creare moduli di autorizzazione non eccessivamente lunghi e complessi, in cui vengano richieste solo le informazioni assolutamente necessarie all’attivazione delle funzionalità speciali dell’imballaggio.