Che invenzione, la carta
Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.
Il New York Times ha dedicato un articolo di approfondimento (solo per abbonati) alla produzione del cartone ondulato, raccontandone le origini, il sistema produttivo e le prospettive dei prossimi anni. Il racconto, realizzato dal giornalista Matthew Shear, riguarda in particolare il contesto americano, ma contiene spunti e informazioni interessanti anche per chi segue il settore da qui.
L’articolo parte dalla materia prima con cui viene realizzato il cartone, ossia il legno di pino. “Probabilmente un pinus taeda, o pino loblolly, una conifera diffusa particolarmente nel sud-est degli Stati Uniti”. Si tratta di alberi che crescono velocemente e praticamente ovunque, anche negli habitat più difficili, perfino nelle paludi. I pini assicurano le fibre “lunghe” necessarie alla produzione di cartone ondulato, a differenza della carta normale, frutto principalmente di fibre “corte” provenienti dalle querce.
Il New York Times racconta che le grandi aziende americane acquistano e raccolgono alberi di pino in tutti gli Stati Uniti, in particolare nella Georgia occidentale e nell’Alabama orientale, per sostenere la grande crescita della domanda di cartone ondulato, legata soprattutto all’esplosione dell’e-commerce.
Il giornalista Matthew Shear ha visitato, in particolare, una sede produttiva di International Paper, una delle maggiori aziende del settore, a Memphis. si tratta di un enorme stabilmento dove arrivano ogni giorno “8.000 tonnellate di alberi, 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana”. Shear ha visitato l’impianto documentando l’intero processo produttivo, a partire dalle gru che rimuovono il legname dai tir.
Successivamente i tronchi vengono collocati in un macchinario cilindrico che provvede e rimuoverne la corteccia, per poi indirizzarli nella “trituratrice”, che sminuzza il legno fino a produrre materiale truciolato.
Con un ulteriore processo industriale, un mix di sostanze chimiche trasforma i trucioli in una polpa destinata alla cosidetta “paper machine”. L’articolo descrive questa tecnologia come “un macchinario che si estende su quasi tutto il pavimento della cartiera, tremando come una navicella spaziale poco prima del decollo”. Al suo interno, la polpa viene appiattita in una consistenza simile alla carta.
Nelle operazioni seguenti, il materiale arriva alla stazione di “calandratura”, dove viene pressato, ammorbidito, bagnato e poi asciugato, per essere raccolto in grandi bobine. A quel punto iniziano le operazioni di taglio, piegatura e ondulazione del cartone.
Uno dei responsabili dello stabilimento ha raccontato che ogni giorno “l’operazione è ripetuta abbastanza volte da tappezzare di cartone ondulato un’autostrada a due corsie di 2000 chilometri“. Ma per avere un’idea del cartone generato ogni giorno in America bisogna aggiungere quello prodotto degli altri 25 stabilimenti di International Paper. E poi quello degli impianti delle altre aziende concorrenti. Non si tratta di migliaia di chilometri, ma di milioni.
L’enorme attività, tra l’altro, è appena sufficiente a soddisfare la domanda: le industrie di tutto il mondo hanno battuto i record di produzione nel 2021 e da allora li hanno battuti praticamente ogni trimestre. Entro il 2025, secondo una stima, la dimensione del mercato internazionale delle scatole in cartone ondulato raggiungerà i 205 miliardi di dollari, pari al prodotto interno lordo della Nuova Zelanda o della Grecia.
Entro il 2025 il mercato internazionale delle confezioni in cartone ondulato raggiungerà i 205 miliardi di dollari
Negli Stati Uniti le maggiori aziende del settore sono le cosiddette “big five”, che coprono il 70% della produzione totale di cartone ondulato. La più grande è International Paper, seguita da WestRock, Georgia Pacific, Packaging Corporation of America e Pratt. Tutte sono “integrate verticalmente”, hanno capacità di raccolta e lavorazione del legno, nonché impianti di produzione di scatole e reti di distribuzione.
Il giornalista del New York Times ha visitato un altro stabilimento di International Paper nella città di Lithonia, in Georgia. L’impianto è dominato da un’unica macchina, un grande ondulatore che ha il compito di generare i diversi tipi di spessore che caratterizzano i cartoni.
Dopo aver studiato da vicino il processo produttivo, Shear associa per chiarezza la composizione del cartone ondulato a quello di un sandwich. “C’è una parte superiore e una inferiore, e tra di loro c’è un materiale riempitivo increspato in diagonale, chiamato “scanalatura”. Quella scanalatura è ciò che conferisce a una scatola di cartone la sua qualità protettiva; senza le sue scanalature, il cartone ondulato non sarebbe affatto cartone ondulato, sarebbe solo cartone”. I tre strati sono sigillati insieme con amido di mais, che viene cotto fino all’ebollizione ed essiccato con piastre metalliche riscaldate. “Sandwich completato”, chiosa Shear.
I produttori offrono diversi livelli di ondulazione del cartone, a cui corrispondono diverse capacità protettive e di resistenza delle scatole, dalle scanalature più ampie a quelle micro. Se un produttore di smartphone, ad esempio, può aver bisogno soprattutto di scatole piccole con una leggera resistenza ondulata, un produttore di pollame richiederà scatole più grandi, più resistenti nella composizione e nell’ondulazione.
Lo speciale del New York Times si conclude con gli step finali della catena di montaggio dello stabilimento: il cartone incontra il dispositivo di stampa flessografica, che personalizza le scatole applicando loghi e codici a barre; infine il cartone è “risucchiato” dalla fustellatrice rotativa, che piega il cartone ottenendo le forme finali. L’articolo sottolinea che si tratta di un processo quasi interamente automatico, con scarso impiego di lavoratrici e lavoratori. “Una macchina come la fustellatrice può svolgere il lavoro di una squadra di persone. E può farlo tutto il giorno”.
I produttori offrono diversi livelli di ondulazione del cartone, a cui corrispondono diverse capacità protettive e di resistenza delle scatole
Alla fine dello scorso anno, la società International Paper ha annunciato che costruirà un nuovo stabilimento ad Atglen, in Pennsylvania. E presto anche WestRock ne inaugurerà uno nello stato di Washington. Sono esempi dell’ottimismo sul fatto che la domanda di cartone ondulato continuerà a crescere nel prossimo periodo.
“Il cartone ondulato è un packaging facile da produrre, resistente e sostenibile, perché a differenza della plastica proviene da risorse rinnovabili“. Si tratta di un enorme vantaggio competitivo, secondo Tim Cooper, direttore della società di ricerche Smithers, consultato dal New York Times. Nessun materiale per spedizioni può competere con il livello di riciclabilità del cartone, che si aggira tra il 90 e il 91% dell’intera produzione. Le politiche “green” promosse da governi in tutto il mondo, con sgravi e incentivi, spingono quindi ulteriormente la diffusione di questo materiale.
La conseguenza più visibile è che il cartone inizia ad essere ovunque: nei negozi di alimentari i pomodorini una volta sigillati nella plastica sono ora disponibili in scatole ondulate; nel corridoio delle bevande, scatole di cartone contengono acqua e succhi di frutta. “Tra qualche anno, potreste sorseggiare perfino la vostra birra preferita da una scatola di cartone leggermente ondulata”, conclude il giornale.
Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.
Scatole di legno, cesti di papiro e anfore di terracotta. Impressionano ancora oggi per la loro funzionalità e per la grande attenzione ai dettagli.
Soprattutto per confezionare i suoi prodotti tecnologici. Per questo investe in ricerche e innovazioni, di cui l’azienda ha parlato in una recente guida online.
Quelle realizzate in cartone da un campione di surf americano, ad esempio. O quelle a nido d’ape di due gemelli della Cornovaglia.