Le informazioni riportate sul packaging sono il punto di contatto fra noi e il prodotto nel momento dell’acquisto. Permettono alle merci di essere distribuite, valutate, acquistate, consumate. A consentire questo passaggio di informazioni, c’è un elemento centrale ma non così discusso: l’inchiostro.
La stampa digitale utilizza per lo più inchiostri in polvere o ad essiccazione UV. Nel caso della stampa digitale tramite toner, l’inchiostro è costituito da piccole particelle di plastica, i polimeri, che per essere trasferite vanno portate in temperatura e sciolte. Una volta depositate sulla carta rendono più complicato il riciclo della materia stampata.
La composizione chimica dell’inchiostro incide molto sulla facilità di de-inchiostrare la carta, per ritornare ad essere cellulosa di qualità. In questo passaggio generalmente vengono impiegati solventi chimici chiamati “resine sequestranti”.
L’inchiostro è costituito da piccole particelle di plastica, i polimeri: una volta depositate sulla carta rendono più complicato il riciclo.
Nella stampa a grande formato le basi d’inchiostro oggi disponibili sono il solvente, l’ecosolvente, il latex e l’UV. Per tutti, anche nei più moderni inchiostri a essiccazione UV, rimane il problema del residuo post-stampa. Diluenti e foto-iniziatori restano nell’inchiostro e questo, specialmente negli imballaggi alimentari, eleva in modo preoccupante il rischio di contaminazione.
In alternativa alle soluzioni precedenti, negli ultimi anni si stanno diffondendo molto i cosiddetti inchiostri sostenibili, ossia inchiostri ottenuti a partire da risorse rinnovabili. Appartengono a questa categoria gli inchiostri nei quali i pigmenti sono legati con olii vegetali ed estratti soia, evitando così l’uso di solventi.
Un esempio è quello della lignina, sostanza ricavata dagli scarti della lavorazione della carta. La lignina diventa parte del composto in una dose variabile che può raggiungere il 30%, facilitando di molto lo smaltimento. Altri tentativi, seppur lontani dall’entrare in commercio, riguardano l’amido di mais, sostanza che ben si presta al ruolo di legante e aiuta a esaltare la brillantezza di alcuni pigmenti.
Gli inchiostri sostenibili sono ottenuti a partire da risorse rinnovabili. I pigmenti sono legati con olii vegetali ed estratti soia, evitando così l’uso di solventi.
In generale, per capire se un inchiostro è realmente sostenibile, occorre introdurre il concetto di visione sistemica, applicata al ciclo di vita. La sostenibilità riguarda anche il metodo di estrazione e le materie dalle quali è ricavato, il suo successivo riciclo e la trasformazione finale in biomassa, cioè in nuovo nutriente organico.
La valutazione riguarda l’intero ciclo di vita dell’inchiostro, nessun passaggio escluso. Anche il modo in cui avviene il trasferimento su carta è importante: i polimeri derivati dalle biomasse presentano un punto di fusione ridotto rispetto ai polimeri petrolchimici. Significa che le stampanti che li utilizzano consumano meno energia per scaldare l’inchiostro. Non vanno escluse quindi considerazioni di tipo economico nel ricercare nuove soluzioni: si cercano inchiostri facilmente smaltibili, creati a partire da composti meno costosi e trasferibili su carta con meno energia.
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