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Avete mai dato un’occhiata all’armadio di un collezionista di scarpe? Spesso uno dei guilty pleasure del vero appassionato è quello di conservare ciascun modello nella sua confezione, che diventa così parte dell’arredamento.
Soprattutto quando parliamo di sneakers o scarpe di lusso (come Manolo Blahnik o Louboutin) le confezioni assumono un valore simbolico che va ben oltre la loro funzione di semplici contenitori. La propensione a esporre, fotografare e postare sui social l’ultimo acquisto fatto – pare che il fenomeno dell’unboxing in diretta, che spopola su YouTube, sia destinato a durare – ha spinto molti brand a realizzare pack sempre più accattivanti, che provano a interpretare i gusti dei clienti e le tendenze del momento.
Fino alla fine del 1800 le scarpe venivano prodotte in maniera artigianale, da ciabattini che le realizzavano in quantità limitate, su ordinazione del cliente, senza bisogno di magazzini di stoccaggio. La rivoluzione industriale cambiò l’attività calzaturiera, trasformandola in una produzione di massa. Per le scatole si iniziò a utilizzare una carta spessa e resistente (l’antenato del cartone ondulato), inventato in Cina un paio di secoli prima.
Con la rivoluzione industriale si iniziò a utilizzare una versione rudimentale del cartone
I primi esemplari di scatole apparvero in Inghilterra a inizio Ottocento. Si trattava di confezioni composte da un unico strato di cartone marrone rivestito di carta bianca. Alla fine del secolo venne messa a punto la prima macchina industriale in grado di produrre cartone ondulato in grandi volumi. Nel 1895 la Robert Gair Company, azienda statunitense, lanciò la produzione di imballaggi destinati nello specifico alle scarpe.
Trattandosi di un materiale costoso, il cartone venne inizialmente riservato a oggetti fragili e di lusso. Ma con il perfezionamento delle tecnologie e l’abbattimento dei costi cominciò ad essere usato per confezionare ogni genere di oggetto.
Negli anni ’70 le scatole delle scarpe subirono un’ulteriore evoluzione, trasformandosi in un potente strumento di marketing. Nei grandi mercati occidentali cresceva una nuova passione in particolare per le sneakers, le nuove calzature non solo degli sportivi ma anche di teenager e young-adults.
Per alcune aziende la scatola diventò un mezzo per affermare la propria brand identity. Adidas, ad esempio, iniziò la produzione delle sue prime sneakers nel 1972, con il lancio del nuovo logo. Da allora le tre strisce che contraddistinguono il brand sono apparse sulle scatole di tutti i prodotti.
Negli anni ’70 la scatola di scarpe subisce un’ulteriore evoluzione, trasformandosi in un potente strumento di marketing.
Il design delle scatole Adidas è diventato talmente familiare che il brand l’ha utilizzato come modello per negozi temporanei e sorprendenti, con room-box comparse negli anni in giro per il mondo.
Un altro brand che ha reso iconica la propria scatola delle scarpe è Vans, brand americano nato nel 1966. I suoi packaging sono rimasti sostanzialmente invariati fin dalla nascita. L’imballaggio è costituito da un unico pezzo di cartone, opportunamente performato per richiudersi su se stesso, mantenendo un aspetto crafted. Un’estetica semplice e artigianale che l’ha reso caro a intere generazioni di skater.
A reinventare le scatole dei brand hanno contribuito anche stilisti e celebrità del mondo della moda, dello spettacolo e dello sport.
Forse il caso più significato è quello delle Air Jordan, nate per celebrare la collaborazione tra Nike e Michael Jordan, uno dei miti dello sport di tutti i tempi. La sagoma dell’atleta stilizzata sulle confezioni è diventata simbolo del marchio in tutto il mondo. Nel corso dei decenni la Nike ha continuato a sfornare edizioni limitate sempre più accattivanti, accompagnate da pack altrettanto unici.
Nel 2019 l’associazione Paper and Packaging Board e il blogger Matt Halfhill, fondatore della pagina Nice Kicks, hanno dato vita allo Shoebox Museum: uno spazio espositivo che celebra la storia delle scatole di scarpe e il loro ruolo nel trasformare marchi globali in oggetti di culto.
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