La seconda vita del packaging: un progetto che trasforma le confezioni terminate in oggetti unici
Confezioni di biscotti, scatole di pasta e di caffè grazie a questa iniziativa trovano un nuovo spazio nella quotidianità di ognuno di noi.
“Come dobbiamo giudicare il cartone? È uno dei materiali più innocui al mondo o è un simbolo del consumo eccessivo che affligge il nostro pianeta?“
Inizia così un articolo del Los Angeles Times firmato dalla giornalista Sonja Sharp, che fa il punto sulle contraddizioni e le complessità del settore del cartone.
La tesi: il cartone rappresenta uno dei paradossi delle nostre società e delle nostre economie. È un materiale apparentemente poco considerato, quasi noioso scrive lei, eppure importante al punto che la Banca Centrale degli Stati Uniti monitora l’andamento del suo mercato come spia per future recessioni.
Anche lo scarto tra diffusione reale del cartone e quella percepita è paradossale. L’impressione comune, rispetto a qualche decennio fa, è che il cartone oggi sia molto più utilizzato e presente nelle nostre vite. Eppure a leggere i dati dell’EPA, l’agenzia statunitense di protezione ambientale, il volume di cartone in circolazione nel paese – circa 42 milioni di tonnellate – ha fluttuato meno del 5% dal 2000 ad oggi. La quantità, insomma, è stabile.
Non solo: oggi si ricicla così tanto che negli Stati Uniti si “sprecano” 10 milioni di tonnellate di cartone in meno rispetto al 1970. Quell’anno ben 18 milioni di tonnellate di cartone finirono in discarica, non riciclate. Nel 2020 sono state circa 6 milioni.
Il cartone è un materiale apparentemente poco considerato. Eppure la Banca Centrale degli Stati Uniti monitora l’andamento del suo mercato come spia per future recessioni.
Nelle nostre società sempre più attente alla sostenibilità dei consumi, la caratteristica che rende davvero così richiesto e onnipresente il cartone, secondo Sharp, è la possibilità di riciclarlo un numero elevato di volte prima di farlo, letteralmente, sparire. “Il bello del cartone è che scompare davvero quando abbiamo finito di usarlo. Una scatola di cartone per la pizza può reincarnarsi una mezza dozzina di volte prima di “morire”, trasformandosi in carta igienica o compost. Dopo che è stato utilizzato per una scatola di Amazon, per un contenitore per angurie o per la confezine di un giocattolo, il materiale si disintegrerà rapidamente dopo l’uso“.
Ciò nonostante molti di noi associano la moltiplicazione delle scatole di Amazon al senso di colpa, alle emissioni di CO2 e all’ansia climatica. I dati però parlano chiaro: nonostante la quantità di cose che acquistiamo e buttiamo via sia cresciuta enormemente con l’esplosione dell’e-commerce, la quantità di cartone immessa nel flusso dei rifiuti urbani è rimasta, di fatto, invariata.
“Il volume di scarpe e vestiti che finiscono nelle discariche è più che raddoppiato dall’inizio del secolo. Lenzuola e asciugamani? Raddoppiato. Elettrodomestici? Idem. Nel 2018, più di 9 milioni di tonnellate di abiti sono finiti in discarica, superando di quasi un terzo il peso delle scatole in cui sono arrivati. Il volume complessivo del cartone, al contrario, è rimasto stabile. E nel frattempo abbiamo anche iniziato a realizzare oggetti utilizzando il cartone riciclato: cannucce, giocattoli, packaging per lattine“.
Nonostante la quantità di cose che compriamo sia cresciuta enormemente con l’e-commerce, la quantità di cartone immessa nel flusso dei rifiuti urbani è rimasta invariata.
Allora, qual è la conclusione più sensata? Il cartone è il materiale green che useremo sempre di più in futuro? Oppure è lo strumento preferito del greenwashing aziendale, un trucco cinico per assecondare la nostra insaziabile avidità, consolandoci con imballaggi riciclabili?
Secondo Sharp il motivo per cui il cartone si è imposto gradualmente come materiale ideale per le confezioni non riguarda solo gli aspetti ambientali, ma anche l’economicità e la funzionalità. Per spiegarlo la giornalista americana analizza una serie di oggetti, iniziando dalle confezioni degli assorbenti e dalle cannucce biodegradabili.
L’autrice racconta che negli anni ’90 la stragrande maggioranza dei tamponi per il ciclo mestruale era confezionata in plastica. Ce n’erano così tanti in giro che le custodie di plastica superavano per quantità il volume delle cannucce di plastica nei rifiuti urbani. Poi nel 2018 New York ha introdotto l’obbligo di distribuire i tamponi all’interno di confezioni in cartone. Un packaging non soltanto meno inquinante, quindi, ma anche più economico, che permetteva di portare gli assorbenti nei distributori delle scuole. Dopo l’esempio di New York altri stati americani hanno seguito l’iniziativa, trasformando le confezioni in cartone nello standard più diffuso.
“I tamponi non erano cambiati“, spiega Sharp. “Lo aveva fatto la morale pubblica“. Così il cartone era stato scelto in virtù di un prezzo più accessibile e di una maggiore sostenibilità. È andata diversamente con le cannucce di carta: “La differenza tra le scatole di assorbenti in cartone e le cannucce biodegradabili in carta è che i primi aiutavano le ragazzine dei ceti popolari a permettersi i tamponi, mentre le altre peggiorano leggermente le bevande. È una questione di utilità. Questa è la prima lezione: il cartone funziona quando è utile“, conclude Sharp.
“È una questione di funzionalità. Questa è la prima lezione da apprendere: il cartone funziona quando è utile“.
Successivamente la giornalista passa ad analizzare il settore delle scatole di cartone, cercando di capire quali sono i formati più richiesti nel mercato attuale. L’articolo si concentra sul rapporto tra le confezioni destinate ai consumatori e i cosiddetti “packaging secondari”, utilizzati per confezionare e trasportare le merci all’ingrosso. Un rapporto completamente stravolto dalla pandemia e dai suoi effetti.
“Negli ultimi anni siamo passati da scatole più grandi a molte scatole più piccole”, spiega Pete Keller, vicepresidente di Republic Services, un’azienda che si occupa di riciclaggio dei rifiuti in California. “Al calo che abbiamo visto nel commerciale, ha risposto un aumento nel “residenziale”. È stato quasi uno scambio alla pari”.
In altre parole non è cambiata la quantità complessiva di cartone, ma quanto ne vediamo in giro, sotto forma soprattutto di scatole che entrano nelle nostre case. “L’e-commerce non ha cambiato la quantità di cartone prodotto dall’industria. Oggi le persone sono più consapevoli della quantità di scatole in giro perché le vedono dappertutto. Ma i volumi prodotti sono grosso modo gli stessi”.
“Siamo passati da scatole più grandi a molte scatole più piccole. Ciò che è cambiato non è quanto cartone utilizziamo, ma quanto ne vediamo in giro“.
L’impatto di questo particolare trend sulla situazione ambientale è difficile da calcolare. Sono senz’altro più chiari gli effetti sui lavoratori e sulle lavoratrici del settore: dover produrre più scatole vuol dire, in fin dei conti, dover lavorare di più. L’articolo del Los Angeles Times riporta le proteste di molti operatori che richiedono orari di lavoro più sostenibili e paghe più congrue. Eventuali riduzioni dell’occupazione o sospensioni prolungate dal lavoro, in un’industria così strategica, potrebbero minacciare gli equilibri del commercio globale.
La soluzione sarà da ricercare all’interno dell’industria, ma un ruolo lo avranno anche le abitudini dei consumatori: il sistema produttivo riuscirà a produrre la quantità, sempre maggiore, di scatole richieste dall’e-commerce, auspicabilmente con minor sfruttamento della forza-lavoro? Oppure saremo noi, il pubblico, a rivedere la nostra attitudine agli acquisti “fast”, riducendo la mole complessiva di confezioni in circolazione? Da questi fattori dipenderà la quantità di cartone presente nelle nostre vite in futuro: un po’ di meno o sempre di più.
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Nata 2000 anni fa in Cina, ha cambiato per sempre il mondo della scrittura, della cultura e delle idee. E anche quello del packaging.